In data 8 ottobre 2016 si è tenuto uno spettacolo teatrale per gli studenti dell'Istituto Beretta sulla violenza sulle donne, “Gelido prato”, finanziato dalla Civitas e messo in scena dall'associazione culturale Treatro – terrediconfine. Lo spettacolo era l'esito di un laboratorio della durata di quindici incontri, aperto a donne e uomini di maggiore età. Basato sul libro Ferite a morte di Serena Dandini, lo spettacolo ha toccato tutte le sfumature del tema “violenza sulle donne”, dalla violenza psicologica a quella fisica; un ammonimento rivolto soprattutto ai giovani, gli adulti di domani, un'esortazione – o meglio, la richiesta di aprire gli occhi su quella che è una realtà sempre attuale, una realtà che non sempre si ha il coraggio di rivelare, nonostante aleggi tra di noi come un fantasma letale, tra le mura di casa nostra e negli occhi vuoti di donne troppo spaventate per fidarsi della nostra società.
Uno spettacolo crudo e diretto, che rivela dati e avvenimenti reali con un sottile filo ironico necessario a far aprire gli occhi dallo sbigottimento e far correre brividi di inquietudine, ma con la leggerezza.
Lo spettacolo si apre con una sfilata di donne, tutte diverse fra loro tra età e aspetto fisico, intente a mostrare il loro lato migliore con sensualità e un po' di civetteria, sotto gli occhi scrutatori di due uomini che le valutano come merce in vendita. Una scena che descrive con tocco ironico come vengono viste le donne nella società odierna, giudicate superficialmente in base al loro aspetto fisico e alle loro capacità.
“Siamo donne. È il nostro destino. Non possiamo farci niente.” è il messaggio che emerge nelle scene successive. Senza lasciar il tempo allo spettatore di riprendere fiato vengono raccontati episodi di vergogna, dedizione, morte e amore da donne che non si capacitano della brutalità e della violenza degli uomini che hanno amato con passione e da cui sono state uccise. Padri, mariti, amanti, vicini di casa, tutti colpevoli di omicidio e omertà. Una rapida successione di parole e gesti che scombussolano e catturano lo sguardo dello spettatore, che diventa complice e partecipe.
Le donne non se lo aspettano. Forse se lo vanno a cercare, per come si vestono, per gli uomini che si trovano, perché non si ribellano. Non se lo aspettano, avviene tutto così all'improvviso, in un battito di ciglia, e l'uomo dolce e premuroso che le ha protette diventa l'incubo da cui fuggire. “Avevamo il mostro in casa e non ce ne siamo accorte!”. Decisioni sbagliate di uomini non del tutto consci delle loro azioni. Uomini che non sono né “buoni” né “cattivi”. Giusto, sbagliato, bene e male, sono solo preconcetti che illudono, ma non giustificano le nostre scelte, che spettano solamente a noi. Lacrime di rimorso versate sui corpi freddi di donne che hanno amato con dolcezza e fragilità, fredde confessioni di omicidio di uomini che con impassibilità hanno distrutto sogni e speranze. Le donne non se lo aspettano. Loro perdonano, si illudono, sperano. Sono disposte a sacrificare tutto per il loro uomo: la famiglia, gli amici, il lavoro, le passioni. Loro donano se stesse, chiedendo in cambio di essere amate. Tentano di mascherare la violenza, non si aspettano la morte. “Le donne sono forti, meno che con gli uomini.”
Ed è la loro dolce fragilità a raccontare le loro storie agghiaccianti, il loro amore e i loro sogni. E le loro parole arrivano a chi è disposto ad ascoltare con l'animo sensibile e il cuore aperto. “Fa che queste mie lacrime, questo pianto ti onori, questo vaso di latte, questa cesta di fiori, e il tuo corpo non sia, vivo o morto, che rose”.
La testimonianza di una delle attrici, Nadiya Najim:
Devastante. Sensuale. Forte. Bella. Agghiacciante. Dolce. Commovente.
Sono tanti gli aggettivi che potrei usare, ma questi sono quelli che meglio descrivono la mia esperienza di attrice nel “Gelido prato”, laboratorio teatrale sulla violenza sulle donne (seguito poi dall'esito che abbiamo replicato una decina di volte). Vivere questo progetto dall'interno è stato unico e indimenticabile, che ha lasciato un segno indelebile sulla mia formazione di giovane donna e attrice. Il nostro scopo era far aprire gli occhi a persone in grado di cambiare la nostra realtà, quella realtà che nasconde violenza fisica, sessuale e psicologica dietro a un sorriso rassicurante, occhi pieni di lacrime, fondotinta e cerotti. E quelle persone sono proprio i giovani. Non era necessario che capissero tutti: se anche un solo giovane avesse recepito il messaggio che volevamo trasmettere, ci saremmo sentiti soddisfatti, ma il risultato è stato di gran lunga meglio del previsto e noi non possiamo che gioirne. Avevamo l'arduo compito di raccontare storie di morte e violenza senza risultare vittime bisognose di aiuto e compassione; dovevamo parlare di ferite letali con leggerezza, dolcezza ed ironia, senza pressione, senza forzare. Dopotutto, è un argomento fragile, che ha bisogno di essere trattato con la dovuta delicatezza. E tra parole, poesie, danze, gesti, carezze, racconti, dati e petali di rose abbiamo raccontato di Marie, uccisa dal suo amante per gelosia; siamo state Teresa, che con la faccia viola di pugni raccontava sorridente di essere caduta dalle scale della cantinetta; eravamo Ivana, che attraverso la fredda confessione del suo fidanzato Giovanni ha espresso il suo disappunto per essere stata soffocata da un tovagliolo rosso a causa di una risposta non gradita; e in noi c'era quella giovane commessa di intimo strozzata con delle mutandine di pura seta perché le piaceva un po' di violenza a letto, le piaceva sentirsi un po' schiava e un po' geisha, ma il compagno non è riuscito a fermarsi; abbiamo parlato con la voce di Hamina, sgozzata dal padre perché voleva cambiare una storia già scritta e sposare un uomo diverso da quello a cui era destinata. Ma chi eravamo? Eravamo donne. Eravamo Vittoria, Elena, Alessia, Barbara, Nadia, Adriana, Rossana. Ognuna con le proprio passioni, con la propria vita e con i propri sogni, ma ci siamo prese il carico di denunciare una scomoda verità per un futuro meno inquietante. Per un mondo dove le donne possono vestirsi come piace a loro, senza esser poi incolpate di aver provocato il loro stupratore. Dove tutti possono dire la loro, senza aver paura di una risposta troppo violenta. Dove ognuno può essere se stesso senza essere giudicato. Un posto dove donne e uomini possono vivere sereni con i loro interessi, le loro passioni, i loro sogni e le loro ambizioni. Senza paura che l'amore della tua vita si riveli un mostro brutale e violento. E sarebbe più semplice se si potesse trovare il coraggio di denunciare una situazione di violenza senza avere il terrore di essere uccisi.
E se ognuno di noi si impegnasse a prendersi carico di questa cruda verità, forse questo non sarebbe più un mero sogno di poche persone fiduciose e speranzose, ma una realtà.