Progetto Chioccolamente
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Il progetto di rete CHIOCCOLAMENTE svoltosi tra l'Istituto Beretta, l'IC di Bovegno e l'IC di Orzinuovi nella sezione di Pompiano ha la conoscenza dell'avifauna alpina e l'arte del chioccolo in un percorso teorico e pratico sovvenzionato dalla sezione bresciana dell'associazione Federcaccia. Il percorso si è concluso con un test selettivo grazie al quale 15 alunni dei tre diversi istituti accompagnati dalla prof.ssa Silvia Luscia, dal maestro di chioccolo Loris dal Maistro e dal commissario provinciale Romano Bregoli hanno vissuto un week end intensivo per imparare a chioccolare e conoscere le peculiarità dell'avifauna alpina. Il week end ha messo in contatto gli alunni con la tradizione casearia locala, ha previsto passeggiate per la valorizzazione della flora e il bird watching legato al codirosso e alla parata d'amore del gallo forcello. Socializzazione e integrazione con l'ambiente alpino per vivere attivamente l'ambiente valligiano.
Da fruitori a collaboratori...mostra Vita del Bosco
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All'interno del progetto Chioccolamente intrapreso per la valorizzazione dell'avifauna valligiana e la conoscenza consapevole della tradizione venatoria locale, gli alunni della classe 1A ITIS da frituri del musoe gardonese sono diventati attivi collaboratori all'interno della mostra VITA DEL BOSCO. Garzie a percorsi multimediali rielaborati da Contin Mattia, Santina Giovanni e Gnutti Andrea la cittadinanza potrà ricostruire la storia dell'arte venatoria dalla preistoria all'invenzione dei roccoli, riscoprire il mito della dea Diana attraverso opere d'arte contemporanea e riflettere sulle diverse strumentazioni venatorie anticipatrici delle armi da fuoco. Partecipare alla storia della comunità per interpretarla e saperla innovare consapevolmente grazie ad una lettura critica e inclusiva del territorio.
Progetto carcere
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Nel giorno del ricordo del sacrificio di Giovanni Falcone per il rispetto della legalità, gli alunni della 5A -5B-5D del plesso ITIS hanno condiviso la riflessione legata appunto al senso della legalità oggi con i detenuti e le detenute del carcere di Verona. Un incontro con un'alterità che mantiene la sua umanità, l'incontro con la presa di coscienza dello scarto tra reato e persona che lo commette, l'incontro con la responsabilità del nostro essere cittadini attivi riscoprendo il valore delle regole che tutelano la nostra convivenza.
In cammino sul sentiero Moretti
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Sabato 7 maggio alcuni alunni della 1 a itis si sono recati accompagnati dai volontari ANPI di Gardone V.T. a omaggiare la stele del giovane partigiano Moretti dopo aver perorso il sentiero che ha guidato i passi del giovene fino alla morte.
Non solo vivere, ma anche voler valorizzare il territorio con un progetto di rivalutazione storica del percorso...un obiettivo da non disattendere il prossimo anno
Collaborazione scuola - famiglia che crea cittadinanza attiva
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Il 3 febbraio noi alunni della classe 2a abbiamo ascoltato la testimonianza della madre del nostro compagno, la signora Sanga Pedersini, e abbiamo compreso ciò che è stato il regime romeno. Abbiamo capito che conoscere è integrare.
Nell’ultimo periodo del nostro cammino scolastico, in italiano, noi alunni della 2 A a indirzzo meccanico abbiamo visto e abbiamo studiato l’orrore delle diverse dittature, anche con testimonianze delle esperienze personali raccontate dalla mamma di Enrico che è venuta in classe e con il suo fantastico entusiasmo ci ha raccontato la sua storia, la sua infanzia al tempo del regime di Ceausescu, grande dittatore rumeno. Analizzando attentamente ogni storia che tratta di discriminazione troviamo moltissime somiglianze con le autocrazie del giorno d’oggi. Noi abbiamo trattato e approfondito quella in Siria. La situazione in quel Paese è davvero critica perché ogni giorno muoiono tantissime persone, anche innocenti. Abbiamo riflettuto molto soprattutto perché avvertiamo un senso di impotenza, loro non hanno diritto di parola come succedeva in Europa nei paesi sottomessi al nazismo di Hitler duramente espresso nel film “La Rosa Bianca” dove i due fratelli Scholl vengono arrestati, messi in carcere e successivamente uccisi perché non erano a favore del regime nazista. Nella potente Germania degli anni ’40’ ai erano formati campi di concentramento dove vi venivano inserite innumerevoli persone, trattate come animali, senza alcun ritegno, con il numero di identificazione tatuato sul braccio. La vita all’ interno del campo non era facile, come raccontato dal colonnello Melvin, inorridito e sconvolto dal non poter aiutare queste povere persone, senza un’identità, senza speranza di vita, come ancora succedeva durante la dittatura Jugoslava con Tito che operava stermini di massa contro gli italiani mettendo la gente indifesa e senza alcun diritto umano nei campi di coercizione e successivamente gettate nelle foibe dove trovavano una morte atroce e dolorosissima. Come ho detto all’inizio, purtroppo, queste situazioni esistono ancora al giorno d’oggi e si sta facendo il possibile per eliminare le forme di dittatura, ma fino ad ora con pochi successi. Nel nostro piccolo non possiamo fare molto, ma possiamo accogliere ed aiutare persone in difficoltà anche se di nazionalità diverse perché siamo tutti uguali e abbiamo tutti gli stessi diritti, primo fra tutti quello alla vita e alla libertà personale
( Michele Bersini 2A)
Cosa è satato il regime di Ceausescu di cui la signora Sanga Pedersini ha vissuto contraddizioni speranze e asprezze?
Abbiamo rielaborato illa testimonianzadella signora Sanga Pedersini in un racconto.
ASCOLTANDO ADRIAN PAUNESCU’
Il giradischi suonava Adrian Paunescù, Marian fumava una sigaretta reclinata sulla poltrona, mentre le parole di “ Ruga pentru parinti” riempivano la stanza e si tuffavano nel caffè ormai freddo accanto a lei. Aspirava e guardava il fumo uscire lentamente dalla bocca ricamando i suoi ricordi. Adrian Paunescù, poeta, scrittore e cantante era stato la voce della libertà del popolo rumeno e Marian ricordava quando nel 1973 con migliaia di giovani affollava i suoi concerti dove lui e altri suoi seguaci presentavano opere musicali e letterarie contro il potere comunista. Un impegno e una resistenza costanti fino ai primi disordini del 1985 e alla definitiva rivoluzione dell’’89. Quando la voce di Paunescù raggiungeva Marian e suo fratello Costantin in quegli assembramenti della speranza, la sensazione che li invadeva era che qualcosa stava cambiando, nonostante le strade pattugliate, il carcere punitivo per dissidenti e disoccupati e la fame. Non hanno portato la rivoluzione i minatori di Maramures, lo sapeva bene Marian oggi, ma le poesie di Adrian e la tenace cultura della libertà che il regime non ha mai potuto e forse voluto schiacciare.
“ Fate una carezza ai vostri genitori” gracchiava il giradischi. I suoi genitori, Marian aveva avuto un padre alcolizzato che, indebitando e abbandonando la sua famiglia, aveva lasciato alla moglie Maria la responsabilità dei figli. Lei era il genitore a cui Marian oggi faceva una carezza ad occhi chiusi. Lei, una minuta cuoca di Caransebes, che aveva visto il susseguirsi di diverse monarchie in Romania fino ad arrivare a quella di re Mihai esiliato nel 1947 con l’avvento della repubblica socialista rumena, guidata dal primo capo comunista Gheorghe Gheorghiu – Dej. Maria aveva conosciuto da vicino la classe dirigente del partito quando a dodici anni fu accolta in casa del direttore del penitenziario di Caransebes, non come una figlia, ovviamente, ma come una serva. La madre di Maria era all’epoca molto malata e nessuno avrebbe potuto badare a lei. Era il 1942, la guerra imperversava nell’Est Europa e Ceausescu veniva imprigionato proprio a Caransebes. Quando Maria terminava i lavori domestici in casa del direttore aveva il compito di distribuire cibo ai detenuti del penitenziario e fu lì che quella bambina conobbe, amò e portò del cibo trafugato e nascosto nei suoi vestiti a un giovane calzolaio rivoluzionario, per più di un anno fino al trasferimento dell’uomo in un altro carcere. Era Nicolae Ceausescu. Passarono circa otto anni quando Ceausescu, ormai uscito di prigione e divenuto un importante membro del partito, ritornò a Caransebes come promotore di varie attività sociali legate al partito. Si recò di pomeriggio alla “ Cantina Regionala” del partito locale dove Maria faceva la cuoca in quanto moglie di un attivista politico. Fu in quell’occasione che Nicolae la riconobbe. Non valsero le di lui insistenze perché lo seguisse a Bucarest dove già sapeva che sarebbe diventato un politico importante per la nazione. Maria restò, lei sapeva che stava per diventare madre. Non sapeva però che proprio la sua seconda maternità l’avrebbe costretta a una lunga malattia, sola con i suoi figli, col solo supporto del fratello di Marian, Costantin. I debiti del marito e le ingenti spese per le cure costrinsero Maria a vendere la sua casa di proprietà a Caransebes e a spostarsi fino ad Arad per cercare presso conoscenti un alloggio e attraverso le liste di occupazione ottenere un lavoro. L’alloggio di Arad per dieci giorni fu un albero all’interno di un cortile condominiale, un albero ricoperto con dei teli cerati. Fu uno zingaro commerciante di vetro che alloggiava con i suoi dieci figli nel loro stesso cortile a costruire anche per Maria e la vecchia ebrea ungherese Ildiko, scampata ai rastrellamenti del ’43, alcune stanze abusive. Quella fu la casa di Marian fino alla sua partenza dopo la rivoluzione, quando aveva ormai vent’anni, un amore con cui partire e un fratello morto nella rivoluzione. Da quelle stanze Marian vedeva il grande condominio in cui le persone dovevano riscaldare gli edifici con temperature comprese tra i 5 e i 12 gradi e questo significava che chi come l’infermiere Alexadreu abitava gli ultimi piani, non aveva nemmeno il minimo di riscaldamento, quando la temperatura esterna scendeva oltre i dieci gradi sotto zero. Marian ricordava ora il freddo di quegli inverni e la mancanza di luce elettrica la sera per imposizione del governo. Solo la fame loro non avevano patito. Maria infatti ad Arad era diventata commerciante e aveva contatti con gli agricoltori della zona. Lei vendeva i loro prodotti e loro le davano cibo in più per i figli. Diversamente alimentari di prima necessità come latte, frutta, olio, zucchero e carne non erano reperibili facilmente e quando erano disponibili venivano acquistati con buoni mensili. E questo comportava lunghe file fuori dai negozi, rischi di risse e umilianti mance di sottobanco ai negozianti. Perché tutto questo in una nazione dalla fiorente agricoltura? Perché in Romania tutti i prodotti venivano quasi interamente esportati e la merce di importazione era molto limitata. Le famiglie del cortile condominiale non avevano automobili, si usavano i carri, anche per il trasporto di vetro del commerciante zingaro, ma tutti sapevano che la benzina era razionata e pochi potevano acquistarla coi buoni mensili.
Maria era cattolica, ma ben presto aveva smesso di praticare la sua fede, in quelle domeniche rumene. Il partito dava direttive per eliminare tutte le chiese di qualsiasi culto religioso, infiltrando agenti segreti che monitorassero non solo le attività, ma i pensieri, gli sfoghi stessi dei fedeli che si illudevano di poter godere di una libertà di pensiero all’interno di una chiesa. Maria aveva paura che la Securitate potesse danneggiare la sua famiglia e così barattò la consolazione di Dio con il silenzio della sopravvivenza. Solo a una cosa Maria non aveva rinunciato, alle telefonate con un’amica d’infanzia che si era trasferita negli Stati Uniti. Le telefonate erano controllate, Maria lo sapeva, e così avevano imparato a parlare con un codice loro. Il regime non tollerava che si diffondessero all’estero notizie relative a quello che succedeva in Romania e per questo le chiamate internazionali erano limitate. Le telefonate si concludevano sempre da parte statunitense con la medesima espressione “ qui il vino è buono” che ha la stessa pronuncia, ma scrittura diversa di “ Non torno più in Romania”. Per chi restava questa frase acuiva il senso di condanna e impotenza per la propria condizione. Ad andarsene era la speranza. Sorrideva Marian ora a quest’ultimo ricordo. Stati Uniti e speranza che se ne va. Sorrideva perché le venne alla mente Nadia Comaneci che durante la rivoluzione fuggì negli Usa e Nadia in russo significa speranza. Nadia aveva fatto sperare e sognare migliaia di rumeni ai giochi olimpici e se una Romania grande c’era stata sotto il regime, bene, quella era incarnata in Nadia Comaneci. Lo Stato l’aveva riconosciuta come eroe del lavoro socialista nel 1976, il popolo l’aveva riconosciuta come l’attuazione di un sogno di rivalsa davanti al mondo intero. Questo per Marian faceva la differenza tra la riconoscenza della politica e la gratitudine di un popolo. La sigaretta era terminata, Marian faceva frusciare tra le dita le vecchie fotografie di suo fratello quando bambino recitava al Teatrul de Stat de Arad sotto la direzione di Doina Marinescu, quando erano giovani studenti. Le teneva impacchettate sulla scrivania. In una fotografia lei e Costantin si tenevano per mano in divisa, lei in gonna e camicia bianca e lui con pantaloncini e camicia e un foulard per tutti rigorosamente di colore rosso. La consegna del foulard era il rito che i bambini del quarto anno compivano per entrare nel mondo comunista. Già nelle scuole si inculcava la necessità di una società gerarchizzata secondo il modello militare. Venivano nominati dei capigruppo ogni cinque alunni, Costantin era stato uno di loro, poi veniva nominato un altro capo per ogni cinque classi ed infine un capo d’istituto per il controllo totale. Ognuno di loro doveva rapportare ai dirigenti scolastici ogni attività e momento di socializzazione dei gruppi studenteschi. Grazie ai meriti di Costantin nell’arte teatrale venivano loro concesse due vacanze annuali, una al mare e una in montagna. Suo fratello aveva sempre riservato a lei una delle due occasioni di vacanza, era diventato un padre per lei e si sentiva finalmente protetta. Una fotografia sbiadita la ritraeva con una grossa borsa di ortaggi. Durante la frequentazione della scuola media e superiore il regime obbligava gli studenti una volta all’anno per tre settimane ad andare sui campi per la raccolta di ortaggi a favore dello Stato. Il premio finale per ogni studente partecipante era proprio una borsa colma del raccolto. Oggi quella borsa per Marian era colma di memorie. Ogni volta quegli ortaggi venivano divisi con i vicini di cortile, con la vecchia ebrea Ildiko e quell’anno fu l’ultimo per lei. Un’immagine la fotografava ormai senza denti seduta su uno sgabello posto sopra un telo bianco. Serviva per i pidocchi. Nessuno voleva Ildiko in casa propria, solo la madre di Marian le offriva compagnia e assistenza in cambio dei suoi ricami a uncinetto. Ricamava, ricamava sempre e all’aperto. Un giorno Ildiko disse a Maria: << Quando sarò morta, non bruciarmi. Ti prego non permettere che mi brucino>>. Maria mantenne la promessa. Quando la vecchia ebrea morì lei non permise che le autorità la bruciassero insieme alla sua casa ridotta a un cumulo di sporcizia e roditori tra bianchi merletti d’uncinetto. Maria avvolse il corpo nudo di Ildiko in un bianco lenzuolo lo consegnò al rabbino della sinagoga di Arad e pagò le esequie. Ora la vecchia ebrea riposava in un cimitero annesso alla sinagoga. Non era stata bruciata.
Le fotografie scrocchiavano ingiallite passando tra le dita di Marian. Le scostò per un momento e posò su un articolo del Guardian di Alaa Abdel Fattah, un blogger egiziano imprigionato dopo la caduta di Mubarak e il massacro di Rabaa. Anche lui stava combattendo per la libertà del proprio paese, anche lui come Costantin era un figlio della rivoluzione e non era ingenuo il suo credere che il sogno della libertà si sarebbe potuto avverare. Marian stava scrivendo un reportage su di lui, un racconto di un resistente della narrazione e sperava non di un altro martire della rivoluzione. Anche la Rivoluzione romena del 1989 fu un insieme di proteste violente come quelle egiziane e se negli altri Paesi del blocco comunista dell'Europa orientale il passaggio alla democrazia avveniva in quegli anni in modo pacifico, in Romania le manifestazioni si erano fatte sempre più volente, fino a raggiungere il culmine con il processo e l'esecuzione di Ceausescu e della moglie Elena. Costantin era partito da Arad col nastro rosso al braccio sinistro per Timisoara il 16 dicembre del 1989. Non era più tornato. Sua madre aveva pianto a lungo, e oggi quel dolore ricordava a Marian lo strazio di Layla Marzooq Al Sayed, madre di Khaled Said, torturato e ucciso dalle forze armate quando lei lavorava in Siria nel 2010. Continuavano intanto a scorrerle davanti agli occhi i fotogrammi di quelle giornate convulse del1989. Petre Roman che parlava alla folla di Bucarest, la bandiera forata della rivoluzione, Ioan Iliescu sui canali televisivi, i convogli militari assaltati dai rivoluzionari. E infine la fucilazione di Nicolae ed Elena Ceausescu la notte di Natale nella prigione di Targoviste. Sua madre Maria non aveva voluto vedere le immagini dell’esecuzione, mai. La rivoluzione le aveva strappato un figlio e quel calzolaio rivoluzionario che si portava in corpo il pane trafugato della sue colazioni. Marian riaccese la sigaretta, aspirò, chiuse gli occhi e si lasciò invadere dalle note di Adrian Paunescù .
Prof.ssa Silvia Luscia