La testimonianza di Erica
La testimonianza di Erica, che ha partecipato al progetto "Un treno per Auschwitz". Clicca sull'immagine per vedere il video.
Pioveva alla stazione di Brescia il quattro novembre. Ci apprestavamo a raggiungere la Polonia con un treno speciale. Tramite quest’esperienza noi studenti cerchiamo di immaginare il viaggio di deportazione degli ebrei d’Europa trasportati nei campi di lavoro e di sterminio. Durante il “percorso”, con una certa impazienza, mista a curiosità , chiedevamo continuamente ai docenti che città stessimo attraversando e dopo quanto tempo saremmo arrivati; probabilmente con la stessa curiosità degli ebrei, anche se più consapevoli. Dopo ventidue ore di viaggio siamo arrivati a Cracovia per l’ora di pranzo e abbiamo trascorso il resto della giornata visitando i luoghi principali della città , che è veramente affascinante. La mattina seguente ci siamo ritrovati nella sala da pranzo dell’hotel, dove abbiamo trascorso la notte, per fare colazione. Alle otto siamo partiti per i campi.
Quando entri ad Auschwitz non capisci che cosa succede, dove sei, che cosa vedi. Ti si propongono tante piccole casette, i block. A separare le costruzioni ci sono le strade del campo. Sono strade, non sono vie e sono fastidiosamente ordinate. Parallele e perpendicolari, tutte. Il campo è un mondo, è dove si è fermato il mondo, dove i deportati pregavano perché le giornate finissero, perché l’alba non sorgesse. Credo che la morte sia stata invocata più volte là dentro. Chissà , poi, a cosa si pensa un attimo prima di morire. Era il sei novembre e pioveva. Le scarpe erano ricoperte di fanghiglia e il campo sembrava essersi trasformato in una palude. La visita è terminata verso l’ora di pranzo e nel pomeriggio abbiamo raggiunto Auschwitz II: Birkenau. Quando arrivi davanti all’entrata del campo non puoi scegliere se vuoi o non vuoi vedere, non puoi ‘prender tempo’, non c’è nulla a fare da schermo. I tuoi occhi sono costretti ad abbracciare ciò che gli si propone davanti, una sterminata foresta di betulle. Il tramonto che si faceva largo prepotentemente tra il fogliame, gli stessi rami scossi dal vento e la terra inumidita dalla pioggia. Ecco come si è presentato a noi il campo. Se non ne conoscessimo l’utilizzo che ne è stato fatto potremmo definirlo la cornice di una favola. Nonostante avessi messo la briglia alla fantasia, la testa navigava ed incontrava ovunque i volti dei deportati. Alcuni sorridevano. Ma glielo leggevi in viso, avevano il callo del dolore dentro al cuore. Io avevo messo via il mio sorriso di scorta ma davanti a quegli sguardi non lo trovavo. Ero lì incredula, impotente, immobile, con i pensieri nella testa che sbattevano come un cane alla catena.
Continuavo ad aprire la zip della borsa per accertarmi che ci fosse. Era lì, la moleskine, ma non è stata aperta. Credevo che ne avrei imbrattato le pagine la sera stessa, dopo aver visto i campi. Non è andata così. Ci sono voluti dei giorni, prima che mi venissero le parole. Camminavo tra i block di Auschwitz I. Dovevo sforzarmi per riuscire ad immaginare ciò che era successo lì dentro. L’ordine che c’è nel campo è assurdo, mi dà quasi fastidio tutta questa precisione. La mia testa ricostruiva le immagini come fossero spezzoni di un film, scene di un cartone. Sono talmente forti che la mente non riesce ad accettarle come qualcosa di vero.
Ad un tratto li vedo, camminano impacciati, con la lunga palandrana a righe. Fa freddo. Gloria continua a ripetermi di tirar su la sciarpa che mi si gelano le orecchie. Io li guardo, i prigionieri del campo, che non hanno nemmeno la forza di lamentarsi per il freddo, loro. L’immagine si dissolve, mi aggiusto la sciarpa ed entriamo nel Block successivo in cui troviamo una parete tappezzata di fotografie. Ci vengono concessi alcuni minuti per scorrerle con lo sguardo. Fisso gli occhi dei deportati. Sono gli occhi del silenzio. Gli occhi di chi avrebbe mille cose da dire, quelli che si tengono i ricordi stretti stretti nelle pupille. Gli occhi di chi, quel massacro, l’ha vissuto davvero. Di chi ha lottato. Lottato nonostante. Lottato lo stesso. Lottato comunque. Occhi senza trucco, senza vita. Occhi gelidi, stropicciati e stanchi. Sono gli occhi del coraggio, che han tra le pieghe la paura. Di fronte a questi occhi, i miei cadono a terra. Giungiamo a Birkenau nel primo pomeriggio e vi restiamo fino all’ora del crepuscolo. Come potrei dimenticare quello spettacolo, la terra illuminata dai colori del tramonto, le betulle scosse dal fruscio del vento… Non so raccontare quell’attimo, talmente è bello. Chissà se chi ha vissuto il campo è riuscito a cogliere la stessa bellezza nel momento della sera? Quel paesaggio da favola…mi arrabbio se penso che è tutto un inganno. La mente è vittima dell’orrore ed ovunque mi giro ci sono solo rotaie, costruzioni di legno, distruzione… è uno schiaffo in faccia che l’occhio prova ad evitare, preferisce perdersi in quel sublime tramonto, cerca una scusa per non vedere, perché non riesce a vedere. Non sempre esistono parole. Birkenau non si insegna, non si impara. Birkenau si ascolta.
Erica Svanera
Immagini da Auschwitz
Lezione in preparazione al viaggio
Mercoledì 25 ottobre 2017, presso l'aula magna del plesso ITIS, si terrà la seconda parte della lezione in preparazione al viaggio. Sono invitati tutti gli studenti che parteciperanno all'esperienza.
Perché visitare Auschwitz?
Quando si parla di Auschwitz la questione è sempre controversa. Si sa: non è l'unico momento storico in cui è stato compiuto un genocidio, anzi, ci sono stati genocidi di portata maggiore rispetto alla Shoah, così come non è l'unico genocidio compiuto in Europa o da Europei e non è il genocidio cronologicamente più vicino a noi.
A tal proposito, dovendo parlare della mia esperienza in questo luogo che è stato sede di uno dei più grandi crimini della storia, vorrei innanzitutto spiegare per quale ragione ritengo fondamentale una visita ad Auschwitz, rispondendo così anche a tutti coloro che ritengono che si abusi del tema della Shoah e della Giornata della Memoria.
Non sto dicendo che gli altri genocidi siano di gravità minore, infatti, ma la Shoah è a mio parere l’evento che meglio ci permette di capire le dinamiche di altri avvenimenti di questo genere: è avvenuto abbastanza recentemente, meno di un secolo fa, in un luogo vicino a noi, nell'Europa culla della democrazia e della civiltà , vi sono stati coinvolti anche cittadini italiani, sia in qualità di vittime che di carnefici, ne restano tracce materiali facilmente accessibili, quali i campi di concentramento e di sterminio, i documenti e le fotografie. Non ci sono scuse. Tutto è di fronte ai nostri occhi con un'inquietante evidenza. Non possiamo nasconderci, i nostri bis e trisnonni, probabilmente, sono stati silenziosi complici o innocenti vittime. Metà Europa è in un certo senso colpevole del “fenomeno Auschwitz”, termine con cui intendo, più in generale, la Shoah.
Sono sincero… una volta arrivato sul posto e visitati quei luoghi, in particolare i Campi di Auschwitz e Birkenau, non ho provato tutto quel dolore, quella rabbia e quel disgusto che mi sarei aspettato. Quell'enorme accumulo di capelli tagliati alle vittime prima che fossero stroncate nelle camere a gas non mi ha emozionato come credevo sarebbe accaduto.
Quasi mi sentivo in colpa, non capivo perché quei chiari segni di inutile violenza non mi facessero inorridire; non riuscivo a crederci, mi sembrava impossibile che una mente o delle menti umane potessero pensare qualcosa di simile.
Tornato a casa continuavo a non capire la mia reazione, e quasi mi vergognavo di questa mia indifferenza.
La situazione, però , è vorticosamente cambiata una mattina: a scuola decidiamo di vedere una video-testimonianza di Sami Modiano, un sopravvissuto alla Shoah che, in questo filmato, ritorna sui luoghi della sua reclusione.
È stato uno dei momenti più traumatici della mia vita. Lo definirei quasi un momento di epifania, il cerchio si era chiuso: tutto mi era finalmente chiaro.
Avevo collegato ai luoghi che avevo visto, alla desolazione, a quell'aria viziata dall'odore del carbone bruciato tipico della Polonia, a quei capelli e a quelle scarpe, i volti e le storie di quegli uomini reclusi e uccisi senza una ragione valida. È stato come prendere la scossa. Una scarica di emozioni ha attraversato il mio corpo, ricordo che ero arrabbiato, non riuscivo a pensare ad altro. Per giorni capire era diventata la mia ragione di vita, passavo ore su libri e in internet alla ricerca di una risposta alle mie domande; risposta che, in realtà , non ho mai trovato.
Ricerca vana allora, qualcuno potrebbe dire, ma non mi troverebbe per niente d'accordo.
Infatti, durante questa mia ricerca disperata, che ora ho parzialmente cessato, ho notato che qualcosa in me era cambiato, ho notato che la mia sensibilità si era acuita, sentivo, e tutt'ora sento, un interesse sempre maggiore verso la storia ma soprattutto verso l'attualità , mi sento molto più attento alle difficoltà che gli altri vivono e, probabilmente, sono diventato anche molto più introspettivo. Sicuramente un cambiamento simile fa parte del mio naturale processo di maturazione e formazione, ma non credo sia una mera coincidenza il fatto che io abbia sentito tutto ciò a partire da quell'esperienza.
Non sto dicendo che andare ad Auschwitz sia la pillola magica per diventare più buoni e più consapevoli di ciò che ci accade intorno, ma sono convinto sempre più che un viaggio di questo tipo debba far parte della formazione di ciascuno di noi. Non è abuso di Memoria, questo. Chi dice che si parla troppo di Shoah non trova il tempo di riflettere nemmeno sugli altri genocidi. È solo una scusa per chi non ha il coraggio di affrontare la storia e ciò che l'uomo è stato capace di fare.
Se non avete ancora avuto modo di visitare Auschwitz-Birkenau, andateci, non sperando di tremare dalla commozione e neppure di trovare delle risposte. Dovrete uscire da quei cancelli pieni di domande. Sono quelle che faranno da guida alle scelte di ciascuno di noi.
Marco Cippini
Lezione in preparazione al viaggio
Mercoledì 11 ottobre 2017, presso l'aula magna del plesso ITIS, si terrà una lezione in preparazione al viaggio. Sono invitati tutti gli studenti che parteciperanno all'esperienza.
Un treno per Auschwitz - Materiali
Un treno per Auschwitz - Presentazione
La decima edizione de Un treno per Auschwitz era intitolata Norimberga – Auschwitz – Norimberga. Il terribile viaggio dei diritti umani. Nella scelta della tematica da affrontare in occasione del viaggio della decima edizione era ben chiara la volontà di affrontare il sistema concentrazionario nazista e la sua fine nell’ottica della tutela penale dei diritti umani, che, in qualche modo, ebbe origine con il Processo di Norimberga. Si scelse, poi, di continuare ad indagare il tema nell’edizione successiva. L’intento era quello di ripristinare, dal caos delle molteplici forme della memoria collettiva, il binario per mezzo del quale il Nazi-fascismo ha congiunto Auschwitz alla storia dell’Europa. Ora che il progetto gemello “Un treno per Europa” ha raggiunto la maturità della seconda edizione, il gruppo stabile di ricerca sui temi Memoria, Totalitarismi e democrazie, Deportazione e Shoah in Archivio storico ha inteso riportare la riflessione propedeutica di questo viaggio alla lezione di Primo Levi. In fondo, “Un treno per Auschwitz” ha sempre posto il suo sguardo sulle pagine di Primo Levi ed ha mosso i suoi passi nel fango di Auschwitz nella previsione di leggere attentamente la sua opera, carpirne il senso più profondo ed attuale e prospettando che i nostri passi si muovano verso altri luoghi di memoria del sistema concentrazionario nazista, guidati dalla sua lezione universale. Con l’auspicio che ciò contribuisca a renderci cittadini consapevoli impegnati in percorsi culturali e politici atti a costruire l’Europa delle donne e degli uomini e dei loro diritti. Dalle flagranti violazioni avvenute nel secolo dei genocidi alla necessità di tutela delle vittime del nuovo secolo.
Perché visitare Auschwitz?